Pazienti con malattia renale cronica
La malattia renale cronica costituisce un fattore di rischio sia per eventi tromboembolici che di sanguinamento nei pazienti con fibrillazione atriale.
Recenti risultati hanno indicato che una clearance della creatinina inferiore a 60 ml/min può anche essere un predittore indipendente di ictus e di embolia sistemica.
La terapia con un antagonista della vitamina K è associata a una significativa riduzione del rischio di ictus o di tromboembolismo nei pazienti con nefropatia cronica, ma il rischio di sanguinamento risulta anche notevolmente aumentato.
Pertanto, in tali pazienti è necessaria una attenta valutazione dell'effetto clinico netto del trattamento con antagonisti della vitamina K.
Molti pazienti con insufficienza renale cronica lieve-moderata sono stati arruolati negli studi con i nuovi anticoagulanti orali, con riduzioni della dose, come in precedenza specificato.
Nel contesto del trattamento con i nuovi anticoagulanti orali, la clearance della creatinina è meglio valutata con il metodo di Cockroft.
Non ci sono dati sugli esiti per i nuovi anticoagulanti orali nei pazienti con malattia renale cronica in fase avanzata ( clearance della creatinina inferiore a 30 ml/min ) e le attuali lineeguida dell’European Society of Cardiology ( ESC ) sconsigliano il loro impiego in tali pazienti.
Inoltre, esistono pochi dati su pazienti in dialisi o vicino alla dialisi ( velocità di filtrazione glomerulare inferiore a 15 ml/min, nefropatia cronica di stadio V ), né da studi né dalla esperienza clinica.
In assenza di una tale esperienza, non tutti i nuovi anticoagulanti orali sono approvati per l'uso in pazienti sottoposti a dialisi.
I nuovi anticoagulanti orali sembrano una scelta ragionevole per la terapia anticoagulante nei pazienti con fibrillazione atriale con insufficienza renale cronica di grado lieve o moderato.
È stato riscontrato un analogo rapporto rischio-beneficio dei nuovi anticoagulanti orali versus gli antagonisti della vitamina K, e vi sono indicazioni del fatto che l'aumento del tasso di sanguinamento con disfunzione renale è significativamente inferiore con gli antagonisti della vitamina K.
Non ci sono studi comparativi che abbiano dimostrato che i rischi dovuti a malattia renale cronica differiscono tra i diversi nuovi anticoagulanti orali.
Pertanto, un attento bilanciamento dei benefici clinici e dei rischi di ogni farmaco ( e l’aggiustamento del dosaggio ) può giustificare la sua scelta.
Per tutti i farmaci, tuttavia, è necessario un attento follow-up della funzione renale nei pazienti con insufficienza renale cronica, in quanto tutti vengono metabolizzati più o meno per via renale.
Il monitoraggio della funzione renale è particolarmente rilevante per il Dabigatran ( Pradaxa ), che è eliminato prevalentemente per via renale.
La malattia acuta, spesso, influenza in modo transitorio la funzione renale ( infezioni, insufficienza cardiaca acuta, ecc. ), perciò sarebbe opportuna una nuova valutazione.
La terapia con nuovi anticoagulanti orali deve essere evitata e gli antagonisti della vitamina K possono rappresentare un'alternativa più adatta nei pazienti con fibrillazione atriale sottoposti ad emodialisi.
Cosa fare in caso di ( sospetta ) overdose senza sanguinamento, o con test di coagulazione che indica un rischio emorragico
Dosaggi di nuovi anticoagulanti orali superiori a quelli raccomandati espongono il paziente a un aumento del rischio di sanguinamento.
In termini di gestione, è importante distinguere tra un sovradosaggio con e senza complicanze emorragiche.
Nel caso di recente ingestione acuta con sovradosaggio, può essere considerato l'uso di Carbone attivo per ridurre l'assorbimento di qualsiasi nuovo anticoagulante orale ( con uno schema di dosaggio standard per gli adulti di 30-50 g ).
Nel caso di un sospetto sovradosaggio, i test di coagulazione possono aiutare a determinarne il grado e il possibile rischio di sanguinamento.
Non esistono attualmente antidoti specifici per i nuovi anticoagulanti orali, anche se è in corso il loro sviluppo.
Vista la breve emivita plasmatica dei nuovi anticoagulanti orali, nella maggior parte dei casi, in assenza di sanguinamento, può essere adottata una gestione di attesa vigile a meno che non si ritenga necessaria una più decisa normalizzazione dei livelli plasmatici, o non sia prevista una rapida normalizzazione ( ad esempio, insufficienza renale maggiore ).
Gestione delle complicanze emorragiche
Data l'assenza di specifici antidoti per i nuovi anticoagulanti orali, le strategie per la reversione degli effetti anticoagulanti sono limitate.
La reversione degli effetti degli antagonisti della vitamina K attraverso la somministrazione di vitamina K ha un esordio lento ( almeno 24 ore ), ma la somministrazione di plasma fresco congelato o di fattori della coagulazione ripristina più rapidamente la coagulazione.
Nel caso dei nuovi anticoagulanti orali, tuttavia, l'abbondanza plasmatica del farmaco può bloccare i fattori della coagulazione somministrati.
Alcuni studi hanno dimostrato che il profilo di sanguinamento dei nuovi anticoagulanti orali, in particolare di sanguinamento intracranico e di altri sanguinamenti pericolosi per la vita, è più favorevole rispetto a quello del Warfarin.
Tuttavia, dato che un numero crescente di pazienti inizierà ad utilizzare uno dei nuovi anticoagulanti orali, il numero di eventi di sanguinamento correlati è previsto in aumento.
Attualmente, le raccomandazioni sulla gestione del sanguinamento non sono tanto basate sulla esperienza clinica, ma piuttosto riflettono le opinioni degli esperti o gli endpoint di laboratorio.
I possibili interventi distinguono tra sanguinamento non-pericoloso per la vita e sanguinamento pericoloso per la vita, con opzioni leggermente diverse per Dabigatran e inibitori del fattore Xa.
Date le loro relativamente brevi emivite di eliminazione, il tempo è il più importante antidoto dei nuovi anticoagulanti orali. Questo sottolinea l'importanza di conoscere il regime di dosaggio utilizzato, l'ora esatta dell’ultima assunzione, i fattori che influenzano le concentrazioni plasmatiche ( come la terapia indirizzata verso la glicoproteina P [ P-gp ], la malattia renale cronica e altre ) e altri fattori che influenzano l'emostasi ( come l'uso concomitante di farmaci antipiastrinici ).
Sulla base degli scarsi dati clinici, la somministrazione del concentrato di complesso protrombinico ( PCC ) o del concentrato di complesso protrombinico attivato ( aPCC ) può essere presa in considerazione in un paziente con sanguinamento pericoloso per la vita se è richiesto il supporto emostatico immediato.
In attesa di più dati sulla efficacia clinica di tali strategie, la scelta può dipendere dalla loro disponibilità e dalla esperienza del Centro.
Pazienti sottoposti a intervento chirurgico o ablazione: quando interrompere i nuovi anticoagulanti orali
Circa un quarto dei pazienti che si trovano nella necessità di assumere anticoagulanti richiedono la cessazione temporanea entro 2 anni. Sia le caratteristiche del paziente ( funzione renale, età, storia di complicanze emorragiche, trattamento concomitante ) che i fattori chirurgici dovrebbero essere presi in considerazione per decidere quando interrompere e riprendere a somministrare il farmaco.
Sebbene gli interventi comuni senza rischio di sanguinamento clinicamente importante ( come alcune procedure dentali o interventi per cataratta o glaucoma ) possano essere eseguiti a concentrazione minima dei nuovi anticoagulanti orali ( cioè 12 o 24 ore dopo l'ultima assunzione, in base allo schema di dosaggio [ due volte o una volta al giorno ] ), può essere più pratico che l’intervento sia programmato 18-24 ore dopo l'ultima assunzione, e poi riavviare la terapia 6 ore più tardi, ad esempio saltando una dose per i nuovi anticoagulanti orali assunti due volte al giorno.
Per le procedure con un rischio di sanguinamento minore, si raccomanda di interrompere i nuovi anticoagulanti orali 24 ore prima della procedura elettiva nei pazienti con una funzione renale normale, e per le procedure che comportano un rischio di sanguinamento maggiore, si consiglia di prendere l'ultima dose di anticoagulante 48 ore prima.
Per il Dabigatran, è stata proposta una interruzione pre-intervento in base alla funzione renale, sia per gli interventi a basso che ad alto rischio.
Anche se aPTT ( tempo di tromboplastina parziale attivata ) e PT ( tempo di tromboplastina parziale ) possono fornire una valutazione semiquantitativa di Dabigatran e degli inibitori del fattore Xa, rispettivamente, non è stata validata una strategia che prevede la normalizzazione di aPTT o PT prima di interventi elettivi o urgenti.
Pazienti sottoposti a intervento chirurgico o ablazione: quando riprendere i nuovi anticoagulanti orali
Per procedimenti con emostasi immediata e completa, il nuovo anticoagulante orale può essere ripreso 6-8 ore dopo l'intervento.
Per molti interventi chirurgici, tuttavia, riprendere la piena dose di anticoagulante entro le prime 48-72 ore dopo l’intervento può comportare un rischio di sanguinamento che può superare il rischio di cardioembolia.
E’ necessario anche tener conto della mancanza di un antidoto specifico in caso si verificasse il sanguinamento e/o fosse necessario il re-intervento.
Per le procedure associate ad immobilizzazione, viene ritenuto opportuno avviare una dose ridotta per la tromboprofilassi venosa o intermedia di Eparina a basso peso molecolare 6-8 ore dopo l’intervento chirurgico nel caso di raggiungimento dell’emostasi, mentre l’anticoagulazione terapeutica, ri-iniziando la somministrazione di nuovo anticoagulante orale, verrebbe ad essere differita di 48-72 ore dopo la procedura invasiva.
Non ci sono dati sulla sicurezza e l'efficacia di un uso post-operatorio di una dose ridotta di nuovo anticoagulante orale ( come ad esempio viene utilizzata per la prevenzione del tromboembolismo venoso dopo sostituzione dell'anca / ginocchio ) nei pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a un intervento chirurgico.
Considerazioni particolari relative alle procedure di ablazione della fibrillazione atriale
Per i pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a isolamento della vena polmonare, c'è qualche informazione emergente sull'uso di Dabigatran.
Non ci sono, invece, dati pubblicati sull'uso peri-intervento degli inibitori del fattore Xa nei pazienti da sottoporre ad ablazione transcatetere.
Anche se i dati disponibili sono limitati, i nuovi anticoagulanti orali appaiono consentire una strategia ponte con successivo riavvio della anticoagulazione orale. Una cessazione peri-procedurale troppo aggressivamente abbreviata dei nuovi anticoagulanti orali e/o nessun ponte possono risultare meno sicuri quando confrontati con la somministrazione continua di antagonisti della vitamina K e ablazione con un INR compreso tra 2.0 e 3.0, sia per quanto riguarda il sanguinamento sia le complicanze cardioemboliche. ( Xagena2013 )
Fonte: European Heart Journal, 2013
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